giovedì 1 ottobre 2015

Udine e le sue sorelle: l'ultima tappa di un grande giro

Dall’abisso delle scommesse ai grandi successi, dalle plusvalenza al nuovo stadio: la parabola della famiglia Pozzo giunge alla trentesima stagione. Ed è sempre più un brand.

di Emiliano Mariotti








Zoncolan, Stelvio, Mortirolo. Sono le salite, insieme al calcio, la grande passione di Francesco Guidolin. Salite disumane da azzannare in sella a una bici perché «solo lo sforzo libera la mente». Parola del migliore tecnico nella storia dell’Udinese. Una società che di salite ne sa qualcosa. Soprattutto nella persona del suo presidente Giampaolo Pozzo: asperità ne ha incontrate tante nel corso della sua avventura alla guida dei friulani. E se oggi, alla trentesima stagione della sua presidenza, i bianconeri sono ormai una presenza costante nel nostro campionato, se si sono conquistati a suon di risultati un posto d’onore nell’Olimpo del calcio nostrano e se rappresentano un modello da imitare (ed esportare) all’estero lo si deve all’opera di questi due scalatori, tenaci e determinati. Soprattutto del più anziano.


Il primo “strappo”, per continuare con le metafore ciclistiche, l’ormai 74enne Pozzo se lo ritrova già a pochi metri dalla partenza. È il luglio del 1986 quando Gianpaolo decide di abbandonare la FreUd (Frese Udinesi), la ditta di famiglia specializzata in utensili per la lavorazione del legno, per acquisire da Lamberto Mazza l’Udinese Calcio. Nemmeno un mese ed ecco la prima grana. E che grana: la Commissione Disciplinare della Lega spedisce i friulani in serie B nell’ambito di un’inchiesta sul calcio-scommesse che passerà alla storia come Totonero-bis. Inizio peggiore è difficile immaginarlo. A venti giorni dal via della nuova stagione, però, al Corte d’Appello Federale corregge il tiro: l’Udinese resta in A ma partirà con 9 punti di penalizzazione. Un’enormità in un campionato a sole 16 squadre e con i due punti per la vittoria.

Pozzo non si scompone e cerca di sopperire alle colpe di chi l’ha preceduto con una campagna acquisti all’altezza dell’impresa sovrumana che lo attende. E così ecco che sbarcano in Friuli l’argentino Daniel Bertoni e i Campioni del Mondo Fulvio Collovati e Ciccio Graziani. Nonostante le 7 reti di quest’ultimo però i bianconeri non riescono a ribaltare il fardello imposto dalla magistratura e chiudono a soli 15 punti il campionato dominato dal Napoli di Maradona. Oltre al danno la beffa. Perché senza penalità si sarebbero salvati.

Le indagini, lo scandalo, la penalizzazione e infine la retrocessione: ci sono più salite nella prima stagione di Pozzo a Udine che in tutta un’edizione del Giro d’Italia. Una piazza che appena quattro anni prima aveva sognato con l’arrivo dal Brasile di Zico, il “Pelé bianco”, si ritrova ora rigettata tra i cadetti. Quelle che seguono sono otto stagioni di alti e bassi. O di saliscendi, per restare sulle due ruote: promozioni foriere di speranze e altrettante amare ricadute, l’esplosione di giovani promettenti come Balbo e Sensini ma anche tante sofferenze. Non solo sportive. Per Pozzo le notti di Italia ’90 (in occasione delle quali il Friuli viene rimesso a nuovo) sono tutt’altro che magiche: 5 punti di penalizzazione alla squadra e, quel che gli fa più male, 5 anni di deferimento a lui per una presunta combine che vede coinvolto anche l’allora presidente della Lazio, Gianmarco Calleri. In seguito a questa delusione, il patron decide di abbandonare ogni incarico ufficiale e di abdicare in favore del figlio Gino.


Anche in tandem con l’erede, comunque, il suo sostegno non viene mai meno. E finalmente, come un gregario che dopo tanti sforzi si toglie lo sfizio di alzare le braccia al cielo, la sua Udinese inizia a raccogliere quanto seminato. A partire dalla stabilità: nel 1994 il club friulano raggiunge nuovamente la massima serie. Questa volta però non la abbandonerà più: i bianconeri sono la quinta squadra da più tempo in A, alle spalle solo delle milanesi e delle romane. Un traguardo già importante di per sé per una società abituata fino ad allora a militare nelle categorie inferiori. Ma il capolavoro arriva a cavallo del nuovo millennio: sotto la guida tecnica di Alberto Zaccheroni arrivano una storica qualificazione europea e un altrettanto storico terzo posto. Nel 1998 Oliver Bierhoff si aggiudica la classifica capocannonieri per poi seguire il suo mentore a Milanello. L’anno seguente, orfani del tedescone, le Zebrette trovano in Marcio Amoroso il nuovo bomber: anche il brasiliano sarà il miglior marcatore del torneo. Sono stagioni memorabili, in cui tante grandi sono costrette a inchinarsi ai friulani:


E non solo le italiane:


Nelle ultime diciotto stagioni, l’Udinese ha colto otto qualificazioni in Uefa/Europa League e tre in Champions: niente male per una società che fino ad allora a livello continentale aveva disputato solo la ormai desueta Mitropa Cup. La prima storica partecipazione alla massima competizione europea, esattamente dieci anni fa, naufraga ai gironi: fatale la sconfitta subita dai friulani a Brema che permetterà al Werder di passare agli ottavi in virtù proprio degli scontri diretti. Le altre due partecipazioni si spengono al turno preliminare: probabilmente l’unico grande neo della gestione Pozzo-Guidolin.

Ma è in questo ventennio d'oro che inizia a prendere forma quell'incredibile capacità gestionale che fa della famiglia Pozzo una delle realtà imprenditoriali più virtuose del nostro panorama sportivo. Quasi ogni anno la squadra perde un giocatore-chiave: dopo Bierhoff tocca ad Amoroso che si trasferisce alla corte dei Tanzi. Parte invece per Roma, sponda Lazio, Stefano Fiore, mattatore della stagione 2000-01. Poi è la volta di Helveg, seguito da Pizarro, Jankulovski, Mauri, Iaquinta, Muntari, Pepe, Quagliarella, Handanović: in molti lasciano dopo poche stagioni la piazza che li ha visti esplodere. Eppure, al contrario di tante altre piazze, la squadra non subisce mai scossoni di rilievo. Perché partita una stella c’è sempre un giovane (italiano o straniero) pronto a stupire.

Scovare talenti, farli crescere, rivenderli, fare plusvalenze. Facile a dirsi, difficile a farsi. L’Udinese però ne ha fatto un modello di successo. Il pezzo forte nell’estate 2011: i tre milioni e mezzo spesi rispettivamente tre, quattro e sei anni prima per Sánchez, Inler e Zapata si trasformano, come nella leggenda di Re Mida, in 65. Plusvalenza: oltre 60 milioni. Con le rigidissime regole finanziarie imposte dalla Uefa, una manna dal cielo.


Ma a Pozzo non basta: vuole allargare il proprio raggio d’azione, internazionalizzare gli affari, moltiplicare le opportunità. Ecco perché nel 2009 si assicura il controllo del Granada e tre anni dopo quello del Watford. Due club, quello andaluso e quello dell’hinterland londinese, dal palmarès molto modesto e dall'ambiente caldo ma non troppo esigente. L’humus perfetto per ricreare due piccole Udine (calcisticamente parlando) in Spagna e in Inghilterra. L’esperimento per ora va a gonfie vele: il Granada nel 2011 è tornato in Primera a 35 anni dall’ultima volta e in seguito ha ottenuto quattro sofferte quanto meritate salvezze mentre gli Hornets che furonodi Elton John sono appena riapprodati in Premier League dopo otto stagioni tra i cadetti.

Due teste di ponte nei due campionati più importanti del mondo, in cui far crescere e maturare giovani talenti spalla a spalla con Messi e Rooney o in cui “parcheggiare” elementi in esubero sperando in un loro rilancio. Il tutto senza perdere di vista i risultati per non scontentare i tifosi e non buttare all’aria la preziosa (anche economicamente) posizione acquisita. Un sistema di sussidiarietà tra le tre società di famiglia in cui tutti vengono in soccorso di tutti. Sempre, però, con un occhio di riguardo in più per la casa-madre. Che può così contare su una rosa “triplicata”.


Una novità assoluta? Il paragone con la Red Bull regge fino a un certo punto: l’idea di base (marchio a parte) è la stessa ma i risultati per ora sono ben diversi. Il piccolo impero dei Pozzo annovera tre squadre nella massima divisione in paesi chiave, tratta decine di giovani promesse ogni anno affiancandole a campioni affermati. Il Toro Rosso, invece, oltre al club di Salisburgo (eterno campione in patria) vanta una replica, il Lipsia, nella serie B tedesca, una tra i cadetti austriaci e una, quella newyorkese, buona più come brand pubblicitario che come fucina di talenti. L’esperimento di Pozzo quindi può davvero inaugurare un nuovo modello di successo basato su spese oculate, potenziamento dei settori giovanili e abili mosse finanziarie.

Non è un caso che sia stata proprio l’Udinese la prima a seguire l’esempio di Juve e Sassuolo. Ad avere cioè uno stadio di proprietà sulla falsariga di quello delle grandi d’Europa. All’appello manca solo la curva sud e poi, per la partita casalinga con la Juve, prima giornata del girone di ritorno, sarà tutto pronto per l’inaugurazione ufficiale. Il nuovo “Friuli”, costato 50 milioni di euro (cifra minore della somma delle plusvalenze dell’estate 2011, tanto per dare un’idea), conterrà solo 25.000 spettatori ma permetterà ai tifosi una visuale perfetta, grazie alla rimozione della pista d’atletica e di tutte le barriere tra spalti e terreno di gioco. Una struttura all’avanguardia, dotata di tutti i comfort. Come lo Juventus Stadium di Torino e come il Mapei di Reggio Emilia.


Presenza fissa in serie A, levatura internazionale, affari d’oro e stadio di proprietà: al via della trentesima tappa, la strada per Giampaolo Pozzo sembra ormai in discesa. Ma un corridore esperto come lui sa che le cadute sono sempre dietro l’angolo. E che prima o poi si dovrà ricominciare a scalare.


Articolo a cura di Emiliano Mariotti

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